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lunedì 9 aprile 2018

Miroslav Tichý: il fotografo invisibile, l'artista clochard.

Miroslav Tichý


“Il tempo di una mia passeggiata determina quello che voglio fotografare”

Aveva iniziato la sua carriera artistica come pittore, raccontava di essere passato alla fotografia perché: “Tutti i disegni sono già stati disegnati, tutti i dipinti sono già stati dipinti, cos’era rimasto per me?”
Ha vissuto una vita di stenti e di arte, ritraendo le donne di Kyjov con le sue macchine fotografiche costruite usando lattine e pezzi di cartone.
Erotismo quasi ossessivo, contrapposizione alle norme sociali, automatismo rivelatore dell’invisibile. 
E' la dimostrazione di come la poetica di un’immagine non nasca da una macchina fotografica, ma dallo sguardo che sta dietro di essa.

Si chiamava Miroslav Tichý. Nato nel 1926 a Kyjov, in Moravia (ex Cecoslovacchia), si trasferisce a Praga nel 1945 per iscriversi all’accademia d’arte e iniziare come pittore figurativo sulla scia delle avanguardie artistiche.
Nel 1948 il partito comunista cecoslovacco vince le elezioni. La Cecoslovacchia si dichiara Democrazia Popolare e  abbracciando i principi marxisti leninisti, diventa parte dell’Impero Sovietico come stato-satellite. All’accademia d’arte i professori non allineati vengono cacciati. 
Arrestato negli anni ’60 e rinchiuso in carcere e in cliniche psichiatriche, Tichý si emargina da una società che contesta. Torna a vivere nella sua città natale da “clochard”, in una baracca di legno. In questa situazione trova nella fotografia il mezzo giusto di espressione artistica. Tichý ha il merito di reinventare la fotografia da zero. Usa un equipaggiamento tecnico totalmente fatto in casa. Ingranditori e macchine fatti di compensato e cartone. Tubi di plastica e cartone come obiettivi, lenti prese da macchine fotografiche giocattolo o fabbricate col plexiglas lucidato con dentifricio, cenere e carta vetrata.


Una delle sue macchine fotografiche



“Io sono un profeta della decadenza e un pioniere del caos, perché solo dal caos è possibile che emerga qualcosa di nuovo.”


Protagoniste della sua arte sono le donne della sua città, a cui ha scattato migliaia di foto dal 1960 al 1985, ignare che dietro quel giocattolo di cartone si nascondesse un vero e proprio obiettivo e che a volte per gioco si mettevano in posa.


Ciò che conta per lui non è solo l’immagine, che rappresenta solo il momento finale di un  processo fotografico, che passa dalla nascita dello strumento fotografico, alla scelta dei materiali per costruirlo e dei chimici per svilupparlo. Un’immagine che non è mai stabile e completa. Fotografie che nelle macchie, nei graffi e nelle impronte digitali trovano la loro unicità. Sono allora i difetti a diventare mezzo stesso di espressione, ricreando una realtà, temporanea, ed evanescente, inevitabilmente destinata a scomparire. 

Da invisibile, Miroslav Tichý frequenta le strade, la stazione degli autobus, la piazza principale, rubando scorci intimi di Kyjov. Uno scatto istintivo, da voyeur che scruta in maniera particolare le donne, cercando di catturarne essenze e frustrazioni. Scoperto negli anni Novanta, dal collezionista svizzero Roman Buxbaum.



alcune foto di Miroslav Tichý















Tichý soleva dire alla gente quando gli veniva chiesto se fosse un pittore, un fotografo o un filosofo: “Io sono un Tarzan in pensione”.
Le sue fotografie rimasero sconosciute fino a quando non fu scoperto, alla fine degli anni ’80, da Roman Buxbaum, e introdotto al pubblico dell’arte da Harald Szeeman che gli organizzò una mostra alla “Biennale di Arte Contemporanea” di Siviglia nel 2004. La mostra di Siviglia ha lanciato l’inatteso successo internazionale delle fotografie di Tichý, culminando in mostre al Kunsthaus Zürich (2005), al Centre Pompidou di Parigi (2008) e all’International Center of Photography di New York 2010. Le numerose pubblicazioni e monografie pubblicate negli ultimi anni in Europa e in America testimoniano anche l’interesse diffuso nei lavori di Tichý. Fin dalla sua scoperta, Tichý non ha mai frequentato una mostra, non ha mai accettato il denaro raccolto dalla vendita delle foto, ha continuato a vivere nella stessa casa e ad essere un outsider per il resto della sua vita.

Miroslav Tichý muore il 12 Aprile del 2011 a Kyjov, lascia in eredità foto che esprimono la poesia dell’imperfezione e l’erotismo della fantasia.

Miroslav Tichý e la sua macchina fotografica

Sulla sua insolita vita ha scritto una poesia:

Se fosse

Se fosse una passione, sarebbe il people watching.
Se fosse l’arte, sarebbe un’idea.
Se fosse un’ossessione, sarebbe una donna.
Se fosse un oggetto, sarebbe qualsiasi oggetto.
Se fosse un posto, sarebbe il cassetto di un comodino.
Se fosse un limite, sarebbe il tempo.
Se fosse lui, sarebbe un bel nome.






foto di Miroslav Tichy
“Il tuo pensiero è troppo astratto! la fotografia è qualcosa di concreto. La fotografia è percezione, sono gli occhi che intravedi e succede così velocemente che potresti non vedere proprio nulla! Per raggiungere questo, ti serve innanzitutto una pessima macchina fotografica! […] Il tempo di una mia passeggiata determina quello che voglio fotografare…Io sono un profeta della decadenza e un pioniere del caos.”

Miroslav Tichý

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